Forse sabato scorso a scuola ha assegnato i compiti per la settimana, come sempre; ha preso con sé il pacco delle verifiche da correggere; ha programmato le interrogazioni e si è occupato dell'uscita al museo saltata durante la settimana.
Forse nel pomeriggio è andato a fare la spesa... ma magari no: di solito lo incontro al supermercato il giovedì.
Forse ha passato la serata in casa con la sua famiglia e gli amici, o forse ha portato sua figlia al cinema. O magari ha corretto le verifiche.
Nella sua vita ha fatto sempre l'insegnante. Italiano, storia, latino, greco. Al liceo, alle scuole medie.
E' sempre stato uno di quegli insegnanti amati e odiati dagli studenti, uno di quelli che ti fanno riscrivere 50 volte la frase che hai sbagliato mentre ti spiegano il mondo parlando dell'Odissea.
Un insegnante per passione, e basta. Avrebbe potuto aspirare a fare il preside, per la competenza; avrebbe potuto continuare a scrivere manuali: l'aveva già fatto in gioventù, con buoni risultati; avrebbe potuto tornare ad insegnare in un liceo se avesse voluto: aveva davanti ancora molti anni di scuola, prima della pensione.
Ha scelto di restare lì, alla scuola media, con quelle persone sospese tra infanzia e adolescenza, piene di sogni e desideri e voglia di giocare.
Ieri era il suo giorno libero. L'assenza non si è notata fino a quel momento.
Fino a quando qualcuno è entrato in classe e ha detto: “il prof è morto”.
I ragazzi sono diventati cuccioli spauriti.
Ogni collega, me compresa, ha pensato: che ne è adesso delle sue scelte, del suo modo di insegnare, delle parole che ha speso, dei rimproveri e delle lodi?
La risposta è tutta lì, nel necrologio della seconda g:
ORA SCRIVEREMO 100 VOLTE “CI MANCHERAI TANTO PROF!”